giovedì 28 ottobre 2010

Commento alla sentenza del Tribunale di Torino

Per quanto clamoroso, vergognoso ed incredibile è forse il caso di ricordare che quello a cui assistiamo in queste ore è solo l’ennesimo drammatico oltraggio alla vita dei tanti esseri umani che in Italia e nel mondo cercano quotidianamente e semplicemente di esistere, né più e né meno come ognuno di noi.
Persone, storie, mondi quelli dei nostri fratelli e delle nostre sorelle d’altre terre che come ombre si allungano e strisciano silenziosi lungo i muri delle città in cui viviamo, anonimi, sconosciuti, ignorati, o altrimenti derisi, temuti, additati, al tempo stesso negati ed usati, ora come merce a buon prezzo da ottimizzare nel ciclo economico, ora sul patibolo mediatico come capro espiatorio del decadimento della nostra millenaria “civiltà”.
E’ importante partire da qui per non cadere nel tranello della cronaca che, anche di fronte all’aberrazione esplicitamente razzista contenuta nella sentenza della sezione “civile” del tribunale di Torino, roccaforte del campione della sinistra italiana Chiamparino, fatica tuttavia ad uscire dal gossip quotidiano della corruttela e del malaffare della politica, dalle scaramuccie di bottega o di palazzo, certamente commercialmente assai più redditizie, nonché più utili alla propaganda politica, per provare a raccontare il mondo reale, quello fatto dalle persone che vivono, spesso affrontando con dignità condizioni di estrema umiliazione e degrado, e non solo quando muoiono o vengono uccise, come sistematicamente accade manu militari in ogni dove dal sud est asiatico alla Cecenia, dal Tibet alla Palestina, o qui da noi lasciate annegare a largo delle nostre coste come effetto collaterale del buon funzionamento della “macchina” democratica.
Macchina appunto, forse non a caso definita così perché necessariamente impersonale, sovraumana, presuntamene oggettiva ed infallibile, e quindi per questo inevitabilmente disumana.
Il drammatico bilancio di morte e disperazione che ne risulta ne è la prova inconfutabile. L’epilogo di un sistema in caduta libera quello del sistema democratico globale, senza più prospettive né capacità di governare ed interpretare i rapidi ed irreversibili mutamenti epocali del nostro tempo, dalle migrazioni di interi popoli da una parte all’altra del pianeta in cerca di salvezza, alle crisi ambientali sempre meno gestibili attraverso le logiche di un capitalismo vorace e predatorio, affamatore e in molti casi omicida, nè tanto meno con l’utilizzo della guerra permanente e diffusa, figli entrambi dello stesso ventre statalista.
Una deriva sanguinaria che rischia di diventare nell'immginario collettivo, e per certi versi già lo è, la normalità, o quanto meno l’inevitabile passaggio verso una nuova era di sviluppo e benessere.
Sappiamo purtroppo che non sarà così.
Che la libertà e la felicità vanno ricercate con impegno e con passione, che l’emancipazione della specie non è un fatto meramente ciclico né meccanico.
Ma soprattutto sappiamo ch’è nel silenzio, nell’omertà, che si consumano i crimini contro di essa, quotidianamente.
Per questo è necessario rivendicare una profonda solidarietà nei confronti della persona ancor prima che del lavoratore di origine albanese, dei sogni e delle speranze che la animavano, dell’amore che ne motivava il coraggio di rischiare ogni giorno la vita in cambio di qualche soldo da mandare a casa.
E’ necessario partire dalla vita, dalle ragioni più intime di questa, per iniziare a contrastare la cultura dell’omologazione e della mercificazione di tutto e di tutti, dello sfruttamento sistematico e dell’uccidibilità impunita a cui ogni giorno la nostra specie è costretta sotto l’egida democratica. Riconoscersi parte di una comune umanità contro i tentativi di divisione e contrapposizione messi in atto dalla politica borghese, nelle forme più bieche e deteriori dei muri alzati nei quartieri del nord, della riduzione in schiavitù di milioni di donne e di bambini, o in quelle più composte ed accreditate dei tribunali dove la vita delle persone viene misurata con un parametro monetario, e svenduta.
Come se la questione fosse il “quantum”, e non invece il “come” le persone avrebbero il diritto di scegliere di vivere..mi chiedo e vi chiedo: a quanto avrebbe dovuto corrispondere un equo indennizzo per la vita d’un essere umano costretto a rischiare la morte per tentare di sopravvivere in condizioni spesso precarie ed insicure, ed alla fine ritenuto perfino colpevole di non esserne stato capace, come inequivocabilmente sancisce il dispositivo della sentenza che riduce del 20% l’indennità riconosciuta ai familiari della vittima per corresponsabilità di questa nell’aver determinato la propria morte?..ricordo che in Cina si addebita alla famiglia del defunto il costo del proiettile utilizzato per eseguirne la pena capitale..
Semplici coincidenze, o inquietanti analogie?
Imparare a restituire valore alla vita significa ripartire dagli altri, dalla loro felicità non meno che dalla nostra. Vuol dire conoscere, appassionarsi, e commuoversi per i sogni e le speranze altrui, scegliendo di battersi per queste come per le proprie. Ricercare insieme le ragioni profonde ed urgenti, rintracciare i principi fondanti di un bene che sia davvero comune, duraturo, condiviso perchè cooperato ci pare l’unica chance di liberazione della specie umana dal giogo della politica e dei poteri oppressivi, e dall’insopportabile ipocrisia che sottende il dibattito sulla congruità dell’elemosina dispensata da questi in cambio delle migliaia di vite umane sacrificate ogni giorno sull’altare delle proprie barbare regole..tuttavia orgogliosamente democratiche.
David del Comitato solidale e antirazzista" La Via Della LIbertà"

mercoledì 27 ottobre 2010

ROMA - L'operaio morto è albanese. Ma la sua vita vale meno di quella di un italiano. Ai suoi familiari, che vivono in Albania, "area ad economia depressa", va un risarcimento di dieci volte inferiore rispetto a quello che toccherebbe ai congiunti di un lavoratore in Italia. Altrimenti madre e padre albanesi otterrebbero "un ingiustificato arricchimento". Questa gabbia salariale della morte, ispirata al criterio del risarcimento a seconda del Paese di provenienza del deceduto sul lavoro, è contenuto in un sentenza shock del Tribunale di Torino. Il giudice civile, Ombretta Salvetti, richiamandosi ad una sentenza della Cassazione di dieci anni fa, ha dunque deciso di "equilibrare il risarcimento al reale valore del denaro nell'economia del Paese ove risiedono i danneggiati". Dopo aver addebitato all'operaio deceduto il 20% di concorso di colpa nella propria morte, la dottoressa Salvetti ha riconosciuto a ciascun genitore residente in Albania la somma risarcitoria di soli 32mila euro. Se l'operaio fosse stato italiano, sarebbero state applicate le nuove tabelle in uso presso il Tribunale di Torino dal giugno 2009 in base alle quali a ogni congiunto dell'operaio morto sarebbero stati riconosciute somme fino a dieci volte superiori (fra 150 e 300 mila euro).

Questa sentenza destinata a fare discutere in un mondo del lavoro nel quale la presenza di lavoratori stranieri è sempre più alta, è stata criticata da uno dei massimi esperti di diritto civile, l'avvocato Sandra Gracis. "In base a questo criterio del Tribunale torinese - spiega il legale - converrebbe agli imprenditori assumere lavoratori provenienti da Paesi poveri, perché, laddove muoiano nel cantiere, costa di meno risarcire i loro congiunti". "Ma ribaltando la situazione - aggiunge l'avvocato Gracis - che cosa sarebbe successo se il dipendente morto fosse stato del Principato di Monaco, oppure degli Emirati? Il risarcimento ai genitori sarebbe stato doppio o triplo rispetto a quello per un italiano?".

Secondo Sandra Gracis, "il giudice torinese s'è rifatto al una sentenza della Cassazione del 2000 peraltro non risolutiva, ignorando che la Suprema Corte, appena un anno fa, ha affermato che la "tutela dei diritti dei lavoratori va assicurata senza alcuna disparità di trattamento a tutte le persone indipendentemente dalla cittadinanza, italiana, comunitaria o extracomunitaria". Già nel 2006 la Cassazione aveva stabilito che "dal punto di vista del danno parentale, non conta che il figlio sia morto a Messina o a Milano, a Roma in periferia o ai Parioli. Conta la morte in sé, ed una valutazione equa del danno morale che non discrimina la persona e le vittime né per lo stato sociale, né per il luogo occasionale della morte"

giovedì 14 ottobre 2010

A Roma abbiamo assistito all'ennesimo atto di violenza e di indifferenza, una donna lasciata agonizzare per diversi minuti senza che nessuno la soccorresse, poteva essere la nostra compagna, nostra figlia, una nostra amica ma che differenza fà, è un essere umano, con i suoi sogni le sue esigenze, le sue lacrime e le sue gioie. Perchè bisogna aspettare di essere direttamente colpiti i per capire che quello che è successo a Roma ci riguarda, ci coinvolge, ci deve interessare perchè si parla della vita di ognuno di noi, dell'oggi e del domani , dei quali siamo i direttamente responsabili e possiamo essere immediatamente protagonisti affermativamente. Bisogna dire basta , bisogna mobilitarsi, bisogna schierarsi. Viviamo nell'indifferenza e questo fa male, fa male a chi cerca di lottare, di impegnarsi, a chi sceglie strade alternative per affermare una Comune Umanità, Antonio si è schierato e stà pagando il suo coraggio, non possiamo e non dobbiamo lasciarlo solo, per questo facciamo un appello a tutti voi, venite ai presidi che sono in programma giovedi 14, affinchè chi subisce e chi lotta sappia che non sarà lasciato solo, perchè la solidarietà ci avvicina gli uni agli altri nei momenti di difficoltà, mentre l'indifferenza ci allontana e ci abbrutisce. Possiamo scegliere ed i Comitati Solodali e Antirazzisti lo hanno fatto.
Palermo ore 16,30 Teatro Massimo
Roma ore 17,30 largo di Torre Argentina
Napoli ore 18 p.del Gesù;
Milano ore 17,30 p.argentina (MM Loreto )
Brescia ore 18,30 p.Roveta
Torino ore 17,30 v.Po ( fronte chiesa)
Genova ore 17,30 p.Bianchi
Bologna ore 18 p.Maggiore
Prato ore 17 p.del Comune
Firenze ore 18,00 Stazione Santa Maria Novella (lato scalette)

martedì 12 ottobre 2010


Antonio Pasquale Pedace, redattore de La Comune e dirigente nazionale di Socialismo rivoluzionario, il 24 agosto 2008 a Siracusa ha assistito casualmente a un’operazione di polizia ed ha detto agli agenti che i ragazzi eritrei da loro maltrattati sono esseri umani e non bestie. È stato arrestato ed è sotto processo con le accuse infondate di lesioni e resistenza a pubblico ufficiale.
La stessa procura di Siracusa ha sottoposto agli arresti domiciliari nel marzo scorso Padre Carlo D’Antoni “colpevole” di aver accolto nella comunità di Bosco Minniti tanti immigrati.
La solidarietà è dunque sotto processo.
Ci rivolgiamo a tutte le persone che si riconoscono in una comune umanità, al mondo della solidarietà, dell’antirazzismo e del volontariato per affermare insieme un principio elementare: difendiamo chi è solidale ed in particolare Antonio Pedace accusato di umanità.
A Siracusa, in occasione dell’udienza del 15 ottobre e della sentenza, saremo presenti in aula. Realizzeremo un presidio giovedì 14 ottobre (ore 16 presidio in largo XXV luglio al Tempio di Apollo) , e svolgeremo un’assemblea pubblica venerdì 15 (sala della Chiesa S. Paolo, largo XXV luglio)

Palermo ore 16.30 Teatro Massimo
Roma ore 17.30 largo di Torre Argentina
Napoli ore 18 p. del Gesù
Milano ore 17.30 p. Argentina (MM Loreto)
Brescia ore 18.30 p. Rovetta
Torino ore 17.30 v. Po (fronte Chiesa)
Genova ore 17.30 p. Banchi
Bologna ore 18 p. Maggiore
Prato ore 17 p. del Comune
Firenze ore 18 Stazione Santa Maria Novella (lato scalette

sabato 9 ottobre 2010

SFIDA AL CAPORALATO


scioperano gli immigrati
Sedici rotonde stradali tra Napoli e Caserta sono state pacificamente occupate dai lavoratori alla giornata: "Vogliamo almeno 50 euro". Significativo il presidio di Baia Verde a Castel Volturno, dove due anni fa dopo un concerto morì Miriam Makeba. Domani un corteo contro il razzismo e lo sfruttamento
di PATRIZIA CAPUA E CRISTINA ZAGARIA

Erano le rotonde dei kalifoo. Sono diventate le rotonde del riscatto. Mille e cinquecento lavoratori nella giornata ieri hanno occupato le kalifoo - round, le "rotonde degli schiavi".
Kalifoo è il termine con il quale gli immigrati vengono etichettati in Libia durante il loro soggiorno di transito verso l'Italia (significa "schiavo a giornata") ed è l'etichetta, provocatoria, scelta ieri da chi, tra Napoli e Caserta, è sceso in strada e ha manifestato contro il lavoro nero, la clandestinità, le nuove schiavitù.
Ieri si è fermato il mercato delle braccia in Campania. Mille e cinquecento migranti costretti a lavorare in nero, principalmente nell'edilizia e nell'agricoltura, con paghe sempre più basse (ormai anche sotto i 20 euro a giornata) e condizioni di sicurezza inesistenti, si sono fermati. Ma non solo. Sono andati alle rotonde, le stesse dove ogni giorno aspettano "caporali" e padroncini per strappare una giornata di lavoro e hanno alzato un cartello: "Oggi non lavoro", scritto in italiano, inglese e francese, "la mia giornata vale 50 euro".
Uno sciopero dei non assunti, di chi non ha mai avuto il contratto. Uno sciopero di uomini e donne che ogni giorno accettano qualsiasi lavoro, a qualsiasi prezzo, senza nessuna garanzie, perché non hanno il permesso di soggiorno, perché la loro regola è la clandestinità, non per scelta, ma per bisogno. "Io faccio il bracciante, il facchino, il muratore. Anche per 10 euro all'ora - spiega Benjamin, del Togo, alla rotonda di Licola - Oggi però manifesto, perché voglio un permesso di soggiorno, perché non voglio più lavorare a nero, perché non sono uno schiavo. I "50 euro" del cartello sono solo una provocazione. la gente come me, ahimè non ha prezzo, accettiamo tutti i lavori. Ma ho anche una dignità".

venerdì 8 ottobre 2010

Mozione definitiva assemblea nazionale Roma 3 ottobre 2010

Giulia Caruso | 03 Ottobre 2010

Primo commento dall’Assemblea nazionale dei Comitati solidali e antirazzisti

Una discussione che ci accresce
(in fondo: il documento approvato)
L’Assemblea dei Comitati solidali e antirazzisti di oggi a Roma ha visto la partecipazione di circa 500 persone che con determinazione hanno espresso il bisogno e la necessità di voler esserci per interrogarsi sul modo in cui continuare l’esperienza di solidarietà in questo Paese.
Nell’intervento di apertura Renato Scarola ha offerto un’importante riflessione sul contesto di aggravamento delle logiche disumanizzanti che sono proprie della politica, e in particolar modo di quella democratica. Anche per questo il ruolo dei CSA è determinante nel contribuire a creare ambiti umani differenti, altro da queste logiche politiche.
Più di venti interventi si sono succeduti, coordinati da una presidenza molto capace nel gestire i tempi concentrati dell’assemblea – svoltasi nella sola mattinata –, permettendo a chiunque lo volesse di poter parlare.
L’impressione è quella di una riflessione comune che è in crescita, basata sul principio della comune umanità sulla quale si sviluppa la solidarietà che si esprime in ogni CSA e che sta cambiando la vita a tante e tanti protagonisti, così come affermato con forza, con accenti e lingue differenti, negli stessi interventi. Costruire la solidarietà oggi vuol dire costruire delle micro-società – come sottolineato in un intervento in particolare – dove la solidarietà stessa, la sorellanza e la fratellanza siano principi agenti, una solidarietà quindi che cambia le persone, migliorando le relazioni tra queste.
Perché impegnarsi in un CSA?
Perché vogliamo vivere bene, vogliamo costruire relazioni umane migliori perché basate sulla solidarietà e vogliamo farlo fuori dai meccanismi della politica: di questo c’è bisogno di continuare a parlare ed è parte della costruzione di CSA capaci di attrarre e coinvolgere migliaia di persone che nell’impegno solidale e antirazzista trovano la propria espressione di vita.
Dario Renzi ha ripreso questi concetti generalizzandoli nel suo intervento conclusivo, che ha fornito un ulteriore approfondimento di riflessione, restituendo fiducia e prospettiva ai protagonisti alle protagoniste. Questo impegno solidale ha bisogno di principi, programma e luoghi per vivere e far vivere meglio la solidarietà stessa.
Annunciamo ai nostri lettori e alle nostre lettrici che il n.154 de La Comune, in uscita lunedì 11 ottobre, conterrà nelle sue pagine articoli dettagliati su questa giornata.
 
Roma, 3 ottobre 2010
Giulia Caruso
 

 
 

Costruiamo ambiti solidali indipendenti, costruiamo i CSA

 1. La condizione umana della nostra gente, anche in questo paese, continua ad aggravarsi.
Più che mai i valori e la prassi, la cultura e l’impegno, il sentimento e l’organizzazione della solidarietà, che abbiamo cominciato ad assumere, sono attuali ed urgenti, vanno sviluppati ed approfonditi, estesi e sedimentati.
Questa tragica situazione sociale, culturale e coscienziale è alimentata in Italia dall'agire del governo Berlusconi e dal dilagare del razzismo nella società. Questi attacchi gravissimi alla condizione umana sono permessi e favoriti dal sistema democratico dominante, intrinsecamente escludente e razzista, nel cui ambito si muove la quasi totalità delle realtà organizzate.
 
2. La solidarietà umana che abbiamo cominciato ad esprimere nell’esistenza e nell’attività dei CSA comporta una capacità propositiva generale ed articolata ad un tempo.
Si tratta di cominciare ad interpretare ed elaborare una reciprocità coinvolgente -attraverso il metodo del dialogo- nei confronti delle persone provenienti da altri paesi, nei confronti della grande maggioranza delle donne che sono colpite per le loro stesse caratteristiche di genere; nei confronti di chi cerca lavoro o comunque ne è privo; nei confronti di chi viene quotidianamente sfruttato e minacciato nella propria integrità fisica e mentale da condizioni lavorative disumane; nei confronti di chi è tenuto in uno stato di precarietà o addirittura preparato a ciò da un sistema educativo rigorosamente padronale; nei confronti di tutti coloro che sono discriminati per le loro scelte diverse su svariati terreni.
 
3. La solidarietà umana ha in primo luogo un valore d'assieme, fondato sul principio della comune umanità, da sviluppare permanentemente. Il nostro è un impegno di riflessione e azione per affermare e far avanzare il senso generale della solidarietà, la nostra piattaforma comune, condizione essenziale per rafforzare e sviluppare ogni singolo CSA e le sue iniziative particolari.
 
4. E’ evidente che la solidarietà è sotto attacco e minacciata costantemente: scegliamo di costruirla in piena autonomia e indipendenza da chi la osteggia, cioè in primo luogo dalle istituzioni democratiche e dalla loro stessa logica. La solidarietà umana ha bisogno di protagonismo e richiede rapporti umani diretti, la ricerca d'interlocuzione con le persone, il rispetto e la considerazione degli individui, il cambiamento paziente delle relazioni, la costruzione di ambiti di comunanza alternativa alla disgregazione esistente, la partecipazione attiva alle proteste e alle lotte, lo sviluppo della riflessione e l’educazione permanente ai valori e alla cultura della solidarietà con continuità.
 
5. Diamo vita ad un bollettino della solidarietà, di informazione sui e dei CSA, per far conoscere la loro vita e attività. A tal fine si decide che ogni CSA elegga un referente con il compito di mantenere le connessioni con gli altri CSA e la Commissione tecnica per garantire la realizzazione di tale bollettino. Responsabile della fattura del bollettino sarà il nucleo romano della Commissione tecnica.
 
6. Promuoviamo per il Primo Maggio 2011 una giornata nazionale della solidarietà per approfondire la riflessione ideale e sui nostri compiti. Per decidere i contenuti e le modalità di preparazione di questa iniziativa è convocato, per sabato 5 febbraio, il Coordinamento nazionale dei CSA (vedi articolo 5 della carta costitutiva).
  
(risoluzione approvata a maggioranza con 1 non partecipante al voto)